CRY BABY
L’Ultima Notte di JANIS JOPLIN
testo Massimo Cotto
regia Riccardo de Torrebruna
con Chiara Buratti , Andrea Gherpelli
Musiche originali Luca Nesti
Canzoni di Janis Joplin e Leonard Cohen
Confrontarsi con un mito è il compito che tocca a una giovane attrice coetanea di Janis Joplin. La notte è l’unico scenario che ha a disposizione per tentare una trasformazione proibitiva, risalendo la corrente del passato, riascoltando canzoni che hanno fatto la storia di un periodo di sogni, breve ed eccessivo come la vita dei suoi protagonisti.
Le tre telefonate che Janis fece dalla sua stanza d’albergo prima di morire si ripetono come inascoltati appelli di salvezza che l’attrice manda al proprio regista, chiedendogli di risparmiarla. Rifiutare una fine per overdose le sembra legittimo, anche a costo di snaturare il copione inesorabile che le è stato affidato. Nella stanza immaginaria di Janis, aiutata da un giovane assistente che custodisce la memoria del suo mito e dei suoi successi, l’attrice si lascia catturare dal vortice sensuale e doloroso di quella vita “fuori dagli uomini, fuori dal cielo” che ha reso celebre il personaggio da cui è tormentata. Poi, quando l’ultima ora prende l’aspetto di un viaggio che non ammette testimoni e che resterà chiuso in un cassetto insieme a una siringa e a una dose di luce troppo pura per non essere fatale, non le resta che assumere l’apparenza di Janis e vegliare sul segreto di quella “Little girl blue”.
Credo che Janis Joplin sia un personaggio incompatibile con i nostri tempi. Non posso immaginarla mentre ricorre a un lifting né a farsi sparare del botulino sotto pelle. Il suo urlo, quella grinta che le scaturiva dall’utero, era rivolto ad esprimere la sua fragilità, senza veli, senza maschere. Altri tempi. Figlia di una stagione in cui arrivare a trent’anni significava non aver bruciato la propria fiamma fino in fondo, resta comunque estranea alla nostra epoca, in cui la preoccupazione principale è di durare sempre più a lungo. Il viagra esistenziale in cui viviamo non le si addice, per questo Janis resta speciale, anche oggi, e per motivi diversi da allora. Se la sua voce non hatrovato paragoni all’altezza, come la chitarra di Jimi Hendrix, è perché esprime un momento irripetibile.
Sul flusso di un testo narrativo e poetico, ho cercato di creare delle immagini che nel silenzio esprimessero gli stati della sua coscienza in quell’ultima notte al Landmark di Los Angeles. Il suo incontro con Leonard Cohen al Chelsea Hotel, il sogno forse effimero di sposarsi, come una donna normale; i suoi orgasmi multipli davanti al pubblico, alta come un ciclope; la scoperta che il padre era un donnaiolo della domenica, sono tutti passaggi silenziosi nel suo mondo interiore a cui ho voluto che lo spettatore partecipasse come un complice.
Se l’attrice che si cimenta con quell’immedesimazione ad alto rischio, alla fine decide di risparmiarle l’ultima overdose e di lasciarla lì, a ridere come una matrona, è perché sono convinto che Janis lo farebbe vedendo in quale grottesco compromesso con i nostri ideali, noi che siamo durati più a lungo, ci siamo ridotti.